Verrebbe da pensare che mafia e Val Trompia siano due elementi impossibili da coniugare. Purtroppo non è così. Dopo “Gomorra” nessuno può permettersi di vantare verginità di sorta. Parlare di mafia e di interessi delle famiglie mafiose evoca inevitabilmente immagini legate alle regioni del sud, a contesti come Casal di Principe, vera e propria Signoria dei camorristi dove lo Stato non esiste. Si parla poco di «mentalità mafiosa» quella, per dirla alla Saviano del «business a tutti i costi». Una mentalità che non conosce latitudini.
Dopo due anni, cinquanta contatti di cui: 4 hanno semplicemente raccontato la propria esperienza, «ma nessuno ha avuto il coraggi per denunciare». Non solo privati cittadini («i meno tutelati dalla legge») ma anche piccole imprese artigianali che in tempi di crisi come quello che stiamo attraversando si trovano spesso in difficoltà economiche. I tempi della giustizia sono lunghi e permangono comportamenti decisamente discutibili anche da parte di alcune banche che continuano a negare crediti e finanziamenti a chi ne ha bisogno salvo poi – complice la solerzia di qualche impiegato - fornire sotto banco il numero di telefono dell’usuraio più vicino. Sono i numeri dell’usura in Val Trompia
Nell’ottobre del 2007 la tenenza della Guardia di finanza di Gardone Val Trompia mette fine ad un giro di usurai che teneva in scacco oltre 130 vittime costrette a rifondere le somme prestate con tassi che oscillavano dal 100 al 300 per cento. A tessere la tela di questo giro d’affari (che superava abbondantemente il milione e mezzo di euro) un gruppo di persone tra cui un disoccupato e due “insospettabili” pensionati di Sarezzo e Marcheno.
Dopo due anni: restano cinquanta contatti. Cinquanta brecce nel muro di gomma dell’omertà che copre il i traffici degli usurai triumplini. «Si tratta della punta dell’iceberg» afferma Gabriele Guerini , fondatore del «Comitato antiusura della Valtrompia che dopo due anni di attività è entrato a far parte della rete antimafiosa di «Libera», l’associazione guidata da don Luigi Ciotti. Tra le 130 vittime degli strozzini c’era anche la madre di Gabriele. La donna aveva perso il lavoro per l’improvvisa chiusura della fabbrica in cui lavorava. Un momento di vera difficoltà come capita a molti di questi tempi. Nonostante non fosse mai stata inserita nel registro dei protestati, la donna non riesce a trovare una banca in grado di prestarle 6 milioni delle vecchie lire, anzi, viene indirizzata da un impiegato di un istituto bancario triumplino verso lo strozzino locale finendo nel vortice dei debiti insolubili e delle minacce. Fino alla decisione presa in accordo con il figlio di denunciare gli strozzini. Era il 2002.
«Il fenomeno dell’usura non riguarda solo i privati cittadini – prosegue Guerini -, ma anche piccole realtà imprenditoriali. Complice la crisi il fenomeno è sicuramente cresciuto soprattutto negli ultimi mesi. Purtroppo dei cinquanta contatti che siamo riusciti a stabilire in questi due anni nessuno ha avuto il coraggio di denunciare la propria situazione». D’altra parte, procedure e lungaggini burocratiche scoraggiano anche i meno indecisi: «dopo 7 anni noi non siamo nemmeno arrivati a processo – afferma Guerini -. Un cittadino denuncia realtà di questo genere perché pensa di fare giustizia. Invece si scontra con la burocrazia. E purtroppo non esistono forme di tutela per i privati cittadini vittime di usura. Sono tutelati i piccoli imprenditori, ma se non hai la partita iva sei ai margini».
Verrebbe da pensare che fenomeni come usura e mafia e Val Trompia siano elementi difficili da coniugare. Purtroppo non è così: la «mentalità mafiosa» del «business a tutti i costi» non conosce latitudini. «La mafia si diffonde dove se ne nega l'esistenza - afferma Guerini -. È il solito problema: fino a quando una cosa non ti tocca, non te ne occupi». Parlarne pare dunque doveroso ed ecco che, per il prossimo 7 aprile (nella sala consiliare del comune di Gardone) ha organizzato (con il patrocinio del Comune, la collaborazione del Comitato antimafia di Brescia "Peppino impastato" e degli Amici di Beppe Grillo) un incontro con Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso dalla mafia insieme agli uomini della sua scorta nella strage di via D’Amelio. «Parleremo di legalità a 360 gradi, non solo di usura, cercheremo di capire se è utile a combattere la mafia, se è possibile ottenere giustizia».
Per ora l’unica alternativa all’opera di repressione portata avanti dalle Forze dell’ordine è «la sensibilizzazione nelle scuole - spiega Guerini –. Da qualche tempo un buon numero di scuole bresciane ha preso contatto con noi. Dobbiamo ripartire dai più giovani per creare una nuova mentalità che porti alla normalità della denuncia, che sia finalmente un dovere per ognuno di noi».
Dopo due anni, cinquanta contatti di cui: 4 hanno semplicemente raccontato la propria esperienza, «ma nessuno ha avuto il coraggi per denunciare». Non solo privati cittadini («i meno tutelati dalla legge») ma anche piccole imprese artigianali che in tempi di crisi come quello che stiamo attraversando si trovano spesso in difficoltà economiche. I tempi della giustizia sono lunghi e permangono comportamenti decisamente discutibili anche da parte di alcune banche che continuano a negare crediti e finanziamenti a chi ne ha bisogno salvo poi – complice la solerzia di qualche impiegato - fornire sotto banco il numero di telefono dell’usuraio più vicino. Sono i numeri dell’usura in Val Trompia
Nell’ottobre del 2007 la tenenza della Guardia di finanza di Gardone Val Trompia mette fine ad un giro di usurai che teneva in scacco oltre 130 vittime costrette a rifondere le somme prestate con tassi che oscillavano dal 100 al 300 per cento. A tessere la tela di questo giro d’affari (che superava abbondantemente il milione e mezzo di euro) un gruppo di persone tra cui un disoccupato e due “insospettabili” pensionati di Sarezzo e Marcheno.
Dopo due anni: restano cinquanta contatti. Cinquanta brecce nel muro di gomma dell’omertà che copre il i traffici degli usurai triumplini. «Si tratta della punta dell’iceberg» afferma Gabriele Guerini , fondatore del «Comitato antiusura della Valtrompia che dopo due anni di attività è entrato a far parte della rete antimafiosa di «Libera», l’associazione guidata da don Luigi Ciotti. Tra le 130 vittime degli strozzini c’era anche la madre di Gabriele. La donna aveva perso il lavoro per l’improvvisa chiusura della fabbrica in cui lavorava. Un momento di vera difficoltà come capita a molti di questi tempi. Nonostante non fosse mai stata inserita nel registro dei protestati, la donna non riesce a trovare una banca in grado di prestarle 6 milioni delle vecchie lire, anzi, viene indirizzata da un impiegato di un istituto bancario triumplino verso lo strozzino locale finendo nel vortice dei debiti insolubili e delle minacce. Fino alla decisione presa in accordo con il figlio di denunciare gli strozzini. Era il 2002.
«Il fenomeno dell’usura non riguarda solo i privati cittadini – prosegue Guerini -, ma anche piccole realtà imprenditoriali. Complice la crisi il fenomeno è sicuramente cresciuto soprattutto negli ultimi mesi. Purtroppo dei cinquanta contatti che siamo riusciti a stabilire in questi due anni nessuno ha avuto il coraggio di denunciare la propria situazione». D’altra parte, procedure e lungaggini burocratiche scoraggiano anche i meno indecisi: «dopo 7 anni noi non siamo nemmeno arrivati a processo – afferma Guerini -. Un cittadino denuncia realtà di questo genere perché pensa di fare giustizia. Invece si scontra con la burocrazia. E purtroppo non esistono forme di tutela per i privati cittadini vittime di usura. Sono tutelati i piccoli imprenditori, ma se non hai la partita iva sei ai margini».
Verrebbe da pensare che fenomeni come usura e mafia e Val Trompia siano elementi difficili da coniugare. Purtroppo non è così: la «mentalità mafiosa» del «business a tutti i costi» non conosce latitudini. «La mafia si diffonde dove se ne nega l'esistenza - afferma Guerini -. È il solito problema: fino a quando una cosa non ti tocca, non te ne occupi». Parlarne pare dunque doveroso ed ecco che, per il prossimo 7 aprile (nella sala consiliare del comune di Gardone) ha organizzato (con il patrocinio del Comune, la collaborazione del Comitato antimafia di Brescia "Peppino impastato" e degli Amici di Beppe Grillo) un incontro con Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso dalla mafia insieme agli uomini della sua scorta nella strage di via D’Amelio. «Parleremo di legalità a 360 gradi, non solo di usura, cercheremo di capire se è utile a combattere la mafia, se è possibile ottenere giustizia».
Per ora l’unica alternativa all’opera di repressione portata avanti dalle Forze dell’ordine è «la sensibilizzazione nelle scuole - spiega Guerini –. Da qualche tempo un buon numero di scuole bresciane ha preso contatto con noi. Dobbiamo ripartire dai più giovani per creare una nuova mentalità che porti alla normalità della denuncia, che sia finalmente un dovere per ognuno di noi».
2 commenti:
Parafrasando gli Assalti Forntali vien da dire: Le merde fanno affari ed è per certi versi scioccante o almeno dovrebbe esserlo scoprire che "anche da noi" c'è la mafia c'è l'usura cose che grazie anche al silenzio di alcuni e al razzismo secessionista di altri viene ormai da troppo tempo relegato a problema localitico mentre i fatti dimostrano che i tentacoli si sono ormai sviluppati ovunque...e come ben ha fatto notare anche Saviano di recente è ancora e anche qui la STAMPA BELLEZZA...sarebbe interessante aprire qui uno spazio nel quale fare anche segnalazioni dirette o indirette su questo problema in Valle come in Pianura...dalle nostre parti. Per tornare a parlare di questo cancro perenemmente in metastasi che è la mafia...
inutile
nascondersi
proprio
dietro
a
paraventi
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