Cara è la fine...ci annusano ormai,sentono il lezzo del panico che spruzza in freddi sudori il terrore che c'è.Non glieli daremo per ungersi dei nostri mali stillanti le mani avide:che ci tocchino morti, secchi e gelidi.Oh, non piangere,urla piuttosto e lasciamo di noi un ricordo toccante.Stringiti a me,ringhiagli addosso e poi sparami mentre io sparo a te.Dieci pistole spianate e dieci sguardi ruvidi e tesi che puntano qui dentro l'auto, e la corsa finisce così. Cara è la fine...perdonami.Oh, non piangere,urla piuttosto e lasciamo di noi un ricordo toccante. Stringiti a me,ringhiagli addosso e poi sparami mentre io sparo a te. Ci vogliono vivi e colpevoli...ma che vita è una cella? Avremo di più:quella stella che un giorno mi donasti, lassù.Oh, non piangere...

domenica 1 gennaio 2012

La fine



di Cane Poeta Alfieri


Questa è la fine.
Mia unica amica.
La fine.

La pallina del flipper che va giù
Nell’ignoto,
ingoiata dal flipper.
La fine

Il ristorantino a Montisola che
Arrivi lì e chiedi: “C’è posto?”
e il cameriere ti fa: “No”
ed è già il terzo che
ti dicono così.
La fine.

L’auto in riserva che hai detto
“Tira ancora qualche chilometro”
e invece no.
Fermo come uno stronzo
in mezzo alla strada.
E devi anche mettere
quel giubbottino da clown.
E mettere giù
il triangolo.
La fine.

(La bestia blu ti sta chiamando…)

I casoncelli di Longhena che stai per
gustarti e invece ci butti sopra
il grana delle bustine
e scopri che è giallo cadavere
perché è scaduto
e tu non potevi saperlo.
(Fatele trasparenti
queste fottute bustine di merda,
stronzi!)
La fine.

Tu che dici “Cara io so che
possiamo riprovarci, credimi
per l’ultima volta…”
E poi...
(Prrrrrrrrrrrrrrrrrrrr)
“…possiamo riprovarci.
E… scusa… la flatulenza
ovviamente non era voluta”
La fine.

Lo sbruffone nei film western
che dice sempre
“Ti faccio il culo straniero!”
senza sapere di essere solo
una fottutissima comparsa,
mentre l’attore principale
è proprio quello straniero
che non ha detto una parola
dall’inizio del film,
lo trivella di colpi
e non si sa nemmeno il “perchè”.
La fine.

(Il nord-est non è il the best…)


Il primo volo della vita
Il volo che ti porta verso la
Libertà, quella vera,
verso una nuova vita lontana
e il tuo vicino di sedile
è il ciccione più ignobile
del mondo.
La fine.

Sei ubriaco fradicio,
nevica,
e devi mettere per forza
le catene.
La fine.

(…e il ragazzo attraversò
il corridoio,
aprì la porta, e ci guardò dentro:

“Padre?”
“Sì figliolo?”
“Sei stato nominato.”
“Eh?!?!?!?”
“Madre?”
“Sì?”
“Italia Unooooooo!”
La Fine.)

Questa è la fine, Signori,
la fine.
Nostra unica amica.

E insomma
il senso è che
se non viene da dirlo a voi
allora glielo dico io,
a questa Fine dei miei marroni,
è proprio vero che:
“amici amici... amici un casso”.

sabato 31 dicembre 2011

L'ultima cagnara: Koprifuoken T'artifizien!



Nein Petarten!
Se folere: potere picchiare pentolaccen
Verboten unter dem Haus von RufenSgrufen

di MdC
Da GdB.it: "Tante città in Italia e in Europa hanno vietato i botti di Capodanno. E Brescia? Fa lo stesso, ma senza una specifica ordinanza". Il regolamento di Polizia Urbana vieta l'utilizzo di materiale esplosivo nei luoghi pubblichi. Incontestabile. Quindi, per mettere le cose bene in chiaro, pubblichiamo l'ultimo comunicato della RufenSgrufen, giunto in redazione in queste concitate ore:

"Stupiten Kanen, voi dofere zolo fottere fostro flacciten culen mit krante centriolonen infuokaten e finire - noi spera - zparaten zopra ti kratacelo altissimen e poi zuperare ti gratacelo und finire infilzaten mit lancen preferipilmente akuminaten und moriren. Mentre noi azpetare ke foi sucetere qveste sventure,

ORTINARE! (nein penzare "orinare"... qvi noi tice ORTINARE! ) Immetiaten Koprifuoken di tutten kose che foi folere fare in qvesta cità topo ti mezzanotte, Compresen fare spararen fuoken artifizialen. Se foi sparare petarten tofe e quanto folere, finire dass Foi inkrementare di Fenti percenten polferi zottili und inqvinare kline aire ti Prescia ke zapere ti mentinen! Fur nein tire ke fare anke notefole paura a pikele animaletten come katte 'nd kanen*. Kon tuto ti qvesto pakano loro riskia ti impazzire e spiellare ti cerfello, und atakare mit apuntiten ganashen, testicolen di primo sub. feld. null. offizialen presenten più ficino. Qvesta kosa suceza ano pasato a Sub. Feld. Null. Ten. RufenSgrufen. Spviacefole incitenten Ya... ke afere rofinato tute zue festecciamenten ti ultimo zuo Feglione.

Qveste ano nein sucetere! 

Kon Krante tempismen, herr Sub. Feld. Null. Ten. RufenSgrufen fietare tutte botten und petarten, rauten, miccetten, und kompreso pallonen ti Maratonen, und tutte razzen ti tipolocien ti explosifen. Wir nein ezzere napoletanen!. Se foi afere kompraten kroza qvantita ti fuoken e pazare fine anno in città ti Prescia, Ihr dick Schwanz... come tire foi?... cazzi Fostri!
Nein potere fare skoppiare nicht in pupliken luoken als Loggenplatz, or in Kapriolen Strasse o tofunque. Noi piacere ti fietare! (Anke se Tar ti taroni tire ke noi afere fatto, mit erste koprifuoken, eine kolossalen putanaten... pazienzen... noi riprofa!)

QVINTI: Foi nein potere fare eine cazzen ti nicht ti rumore fur nein tisturpare tranqvilla fita ti komunità. Ke poi, noi sapere kome antare a finire... finire ke fare male foi e fostri amici upriaken trokaten molestatoren ti qviete puplika. Sucetese zolo a foi und a qvalche ciarcianesen, sarepe ti bella kosa. Ma no sempre sucete.

SKAPPATOIEN! Zickome noi no fuole troppo proplemen, se foi volere proprio utilizzare fostro arzenale militaren di petarten von kapotannen, foi afere qvalke deroghinen. Potere usare in luoko prifaten als: salotten, tinellen, kucininen (preferipile vicino ti stufa a kas... kosì foi explotere tutta famiglia e no pesa più zu makre cazze di komunità). Ze proprio non folere rofinare mopilien, foi potere sparare ta palkone ferso fostro ficinen negraccen und slaven und marocchinen und tire poi che loro afere atacato prima. Qvesto zi. (Fostra parola kontro loro).

Aber hören Sie: nein cirare fur das strassen von Prescia, opure Ficile unt Ficilessen inkakkiaten ti laforare a Kapotannen (e ti kuatagnare eine miserien) fare foi multa ti 130 euren. Noi afere komunicaten... Mann gewarnt mittel gespeichert.... come tire foi?...  uome afisaten... mittel salfaten... Noi fa per foi. Nein skopiare nichts! O noi rispontere fuoken mit ulterioren kariken von cluster-putanaten (a krappolen!). Ist auf Augenhöhe (ocio...)".

Se i botti son reietti, non ci resta che girare "armati" di pentole, trombette, lingue di menelicche, ottoni a profusione, impianti da 400 watt collegati ai fiati dell'Orchestra Pètomanica di Skora Puzkova (Loffionia). Se poi qualcuno volesse... ci si trova alle 4 sotto casa di Rufus e via col gingle:
Ru-Fen-Srgu-Fen!.
glückliches neues Jahr

*(nein kanen fon murotikanen... offiamente qveli zempre no le zucete mai nichts ti spiacefole)

venerdì 30 dicembre 2011

Settimana della Cagnara: Doppio Racconto (- 1)

 Domani
di J. F. Sebastian Brach

se non fosse per il freddo continuerei a camminare. è notte. una delle tante in cui é impossibile dormire perché si affollano nella testa i pensieri topo-unghia-sasso, quelli che rodono e strappano, quelli che non puoi non ascoltare. anche se più che pensieri, sembrano suoni senza orecchio. se non fosse per la stanchezza, tirerei ora una riga esatta tra me e gli altri, proprio come quella che sto guardando sull’asfalto nero, e salterei di là, così da non essere più ostaggio, corpo obliquo. non ho voglia di rincasare. oggi ho la testa zuppa di quel profumo. camuffato da niente, come al solito.
un giorno stavo giocando in strada, avrò avuto nove anni. c’era il tramonto e il nonno era seduto sul solito gradino e sbucciava un mandarino. eccole lì, le sue sopracciglia folte sopra gli occhi chiari e la barba lunga, quasi arrotolata. dondolava la testa mentre osservava il frutto tra le sue dita rugose.
amir,domani partirai. rivedrai tuo padre.
cosa? quando mi disse quella parola,  non pensai a nulla. nessuna immagine. nessuna faccia.
sì domani partirai, avrai la televisione, una casa. l’Italia è bella, starai bene. domani.
con la testa vuota io guardavo gli spicchi arancioni nelle sue mani, quelle mezzelune perfette, e dietro, sbirciavo il sole ormai atterrato all’orizzonte. c’è tutto lì, non devi portare nulla. tuo padre ha una casa e un lavoro. dove saranno le mie scarpe?
abbassai il volume al minimo e mi rifugiai dentro la sua pancia, in quelle pieghe che sapevano di sale, fino a quando arrivò il buio.  quando poi la nave si staccò dalla terra, si staccò  anche un pezzo del mio corpo. forse un braccio. con tutte le sue dita. per sempre.
è notte. una delle tante in cui è impossibile non avere voglia di raccontare, perchè quell’odore di mandarino mi si è piantato nella testa e non mi lascia andare.
ecco che il cielo ora si rovescia e diventa mare. se non fosse per la stanchezza, tirerei una riga perfetta, proprio come quella che sto guardando sull’asfalto nero, e ci salterei sopra, come un funambolo, per camminate stellari.
Sai, un tempo c’era un paese in cui, in certe sere d’estate, potevi toccare le gocce di zucchero nell’aria, bere il succo di papaya, annusare il polline della mangrovia, intuire l’aroma di caffè nei sorrisi dei grandi e vedere le capriole del vento, in mondovisione.


 

Il professore non sbadaglia mai

Il mio professore non sbaglia mai e quando sbaglia non l’ammette.
Una volta si è sbagliato e ha detto: “Oggi lezione di sbrammatica.”
“Sbrammatica!?!” abbiamo detto noi.
“Certo, sbrammatica! Non la conosce nessuno ma è una parte molto importante della sborlottica.
Si occupa del pasticciamento sillabico, del travestimento formale e dell’allungamento sintattico. Sbrani le parole perché le brami, e vuoi ottenere nuovi reami…. anche se strani. Chiaro ragazzi?
Per esempio io posso dire: “il professore non sbadaglia mai”
“E noi possiamo sbadagliare?”
“Sbrammaticare è un’arte e prima di farlo bisogna sapere bene la grammatica. Voi non siete ancora pronti, quindi oggi lezione di grammatica.”
E con un fazzoletto si è asciugato la fronte.
La lezione è stata piuttosto noiosa, come sempre: noi ci divertivamo di più a vederlo sbrammaticare.
p.s. La prossima volta gli chiederemo cos’è la sborlottica.

mercoledì 28 dicembre 2011

Dannatamente... Piccioni

Cani amici, si vede che è proprio la fine. Pure Piero Piccioni mandossi un contributo (e che contributo) alla causa canina. Commossi consigliamo la lettura del seguente racconto. 


Ultima puntata e ritorno in glande stile
Non se ne esce mai facilmente

di Piero Piccioni

La cosa assurda é che fanno treni ad alta velocità che sono sempre in ritardo. Facessero treni a velocità normale che arrivano in orario, si andrebbe via in pari, senza spreco di risorse e pubblicità.
Comunque, il punto é che stavo tornando in Italia per le feste natalizie e per i funerali di Muro di Cani. Le eutanasie canine sono le sole a sollevare proteste ultimamente.
Diverse persone hanno lavorato a questo ibrido della controinformazione satirica, con dedizione e spirito di sacrificio. Ad eccezione del sottoscritto.
Piccioni, sei in passivo di 400 articoli, se qualcosa di umano sopravvive in te, bisogna che almeno un coccodrillino lo scrivi, dioboia”. Fratello Scemus, aka Jebediah Wilson, sa giocare in modo sporco con i sensi di colpa altrui. E allora cosa dire? Come individuo sono al disarmo, e infatti mi venivano in mente solo boutades da quattro soldi, peraltro poco adatte a celebrare lo slancio cadaverico di una creatura che si dirigeva nella fossa con tanto zelo, per decisione del suo stesso creatore.
Muro di Cani era più ubiquo di un acaro della polvere e più cretino del nuovo prototipo Boeing di aereo trasparente. Più glamour di Pippa Middleton e più atonale di un assolo di John Coltrane. Più trash di Daniela Santanché e più pungente di un cappuccio del KKK (Muro di Coni). Più controverso di una pornostar in coma assistito da 35 anni. Più distopico della Bassa padana. Più irresponsabile di Franti. Più irriverente del dottor Frankfurter. Più inutile del biondo degli 883. Più disordinato di Paperoga. Più acuto della Callas. Più pornografico di uno snuff con Maria De Filippi. Più bipolare di Vittorio Sgarbi. Più morale di un film di Pasolini. Più mistificato della faccia su Marte. Più bistrattato di Renato Brunetta alle medie. Più intransigente di un sociologo strutturalista. Più ricercato di una tigre bianca del Bengala. Più raro di una fotografia di Matteo Messina Denaro. Più telegenico di Bin Laden. Più essenziale di un haiku giapponese. Più eccessivo di Vanna Marchi. Più arrancante di Dorando Pietri. Più sorprendente di una scatola di vedove nere che ti arriva a casa per raccomandata. Più disastrato dei conti pubblici. Più fedele del tuo cane. Eccetera eccetera.
Roba così.
Poi però alzai gli occhi e osservai le due persone sedute davanti a me, una big mama africana con la figlia di sette/otto anni. Non le avevo notate prima, se non per il fatto che la bambina non la smetteva di frignare e dimenarsi. Tuttavia – me ne accorgevo solo ora- quelli che inizialmente avevo scambiato per capricci, erano in realtà manifestazioni di una bimba affetta da una visibile forma di handicap mentale.
Stravaccata scompostamente accanto alla madre, la piccola aveva occhi vivaci e un inestinguibile rivolo di bava che le colava a flusso continuo da un angolo della bocca. La mamma asciugava e quello, subito, si rifaceva. Il mio primo pensiero fu che le sue ghiandole salivari dovevano essere eccezionalmente sviluppate. Anche il rantolo che udivo in sottofondo da quando il treno aveva lasciato la stazione, e che avevo attribuito al russare sinusoideo di un viaggiatore addormentato, era in realtà il respiro affannoso della bambina. Ciò suscitò in me molta compassione, sicché cominciai a sorriderle, dapprima distrattamente, poi cercando apertamente di attirare la sua attenzione.
Le feci il gioco del “Cip! Bau!”. “Ciiip...”, e mi coprivo la faccia...“Bauuuu”, e mi scoprivo la faccia. Piero c’é, Piero non c’é. Quella non si fece pregare e attaccò a urlacchiare e battere le mani.
I decibel nel vagone aumentavano, alcune teste calde già facevano capolino dagli altri sedili, interrogandosi sulla fonte di quel baccano molesto; così decisi di darci un taglio, perché la bambina si calmasse.
Ma lei, per protesta, cominciò a gridare più forte. Lievemente a disagio per la situazione che avevo creato, presi a sorriderle bonariamente, bisbigliandole al contempo “Sssst, Sssst” e cercando con occhi supplichevoli un aiuto da parte della madre. La quale però, impegnata a sua volta in una conversazione telefonica piuttosto accesa, ricambiò con uno sguardo che diceva: “Tu ti sei messo in questo casino e tu ne esci”, o almeno così mi sembrò.
Disperato, afferrai il primo oggetto che mi capitò sottomano, un flaconcino omaggio contenente un liquido viscoso e ambrato, e presi ad agitarlo come diversivo davanti allo sguardo beota dell’infante. Lasciandomi secco per la sorpresa, la piccina lo ghermì, sputacchiando dappertutto per la felicità, e lo spaccò contro la finestra del vagone. Una nuvola di essenza assoluta di vaniglia si diffuse all’istante nella carrozza, provocando l’aperto risentimento degli altri viaggiatori.
Il fallout aromatico lasciò senza parole alcuni, mentre altri si alzavano per venire a comunicarci i sensi del loro disappunto.
Al che, la madre della bimba si attivò per ripulire la figlia, inzaccherata di liquido untuoso, piccole schegge di plastica dura e l’immancabile profluvio di bava. Le occhiate di rimprovero di coloro che non avevano assistito per intero alla scena convergevano automaticamente su di lei, rea di una tale irresponsabile mancanza di attenzione nei riguardi della bambina, soprattutto data la criticità delle sue condizioni.
Cercai di approfittare dell’equivoco per defilarmi. In fondo al corridoio vedevo la luce verde che indicava che il cesso della carrozza era libero. La salvezza era a portata di mano.
Sennonché, non feci in tempo a lasciare il mio sedile che una vecchia signora, seduta due posti più in là, mi afferrò per l’avambraccio: “Ho visto tutto. Lei é proprio uno stronzo”. Il suo artiglio adunco era come una tenaglia, la forza della sua presa era soprendente. Sono sempre questi piccoli dettagli ad attirare la mia attenzione, distraendomi dai casini in cui mi ficco. Fatto sta che rimasi senza parole.
Quella continuò: “Sono capaci tutti ad infilarsi in una conversazione, ma uscirne é un’altra faccenda. E’ troppo comoda darsela a gambe quando non si sa più cosa dire. Concediamo la nostra attenzione a qualcuno che sembra averne bisogno, e questo ci fa sentire bene. Ma in realtà non stiamo ascoltando, stiamo solo coccolando il nostro ego. Quando finalmente scopriamo che gli altri non sono come vogliamo che siano, allora ce la diamo a gambe, vero? Come molti individui della sua età, lei é un giovanotto compiaciuto, meno altruista e certo meno intelligente di quel che crede”.
Pensai che parlava parecchio, per una che aveva in bocca sì e no otto denti, ma sospettavo che avesse ragione.
E le sue critiche, tra l’altro, suonavano sinistramente calzanti con la situazione che dovevo affrontare. Mi liberai con uno strattone da quella morsa diabolica e corsi a rifugiarmi nel gabinetto. L’odore pungente di urina e feci ebbe l’effetto di un sale medicinale, in mezzo a quel surreale incubo vanigliato.
Seduto su una tazza lurida di DNA altrui, pensai che forse la vecchia signora aveva ragione e che Muro di Cani era come quella creatura menomata, destinata ad essere accudita dall’inizio alla fine unicamente dalle persone che l’avevano messa al mondo, mentre tutti gli altri le tributavano solo sporadiche attenzioni, per poi girare la testa dall’altra parte. Improvvisamente mi sentii malissimo per avere avviato una relazione che non avevo saputo portare avanti, facendo la mia parte per lasciare Muro di Cani a crepare in un fiotto di bava e vaniglia.
Invece magari era il mondo ad essere crudele e distratto come i passeggeri di quel treno, pronti ad additare le debolezze altrui giudicando da una poltrona riscaldata coloro che sedevano su un trono di merda.
Oppure, forse, Muro di Cani era proprio come la vecchia saggia e scorbutica, isolato nella posizione scomoda di chi é masochisticamente alla ricerca di uno scampolo di verità, difendendo un ideale di onestà conquistato a fatica dalla volontà rapace di un universo handicappato e sbavante. Infilai la testa sotto l’acqua gelida e impotabile del lavabo. Ora desideravo solo di avere un posto da chiamare casa, un luogo caldo e accogliente dove una grossa mamma antica dalla pelle marrone mi avrebbe accolto sempre, senza condizioni. Le avrei probabilmente sbavato addosso e lei avrebbe risposto al mio sguardo ebete accarezzandomi la testa. Un buon odore di biscotti alla vaniglia si sarebbe diffuso dalla cucina e nessuno mi avrebbe mai sgridato o ferito o abbandonato. Nessuno si sarebbe fatto male e nessuno sarebbe scomparso.
Poi quella mamma mi avrebbe fatto addormentare nel suo grembo, dondolandomi piano, come il suono di un vagone in lontananza.
Intanto, fuori, decine di zombies cercavano di fare irruzione.

martedì 27 dicembre 2011

Settimana della Cagnara: Racconti (- 4)


Goal!
(Addio alle armi)

di Zigo

Brescia era la sua città e pensava che lo sarebbe sempre stata. Amava sorprendersi ogni volta delle luci di Piazza Loggia quando a notte inoltrata sbucava dai portici di via Dieci Giornate per raggiungere il Carmine. E quella nebbia che molti odiavano gli sembrava un giusto compromesso tra l’anonimato e la felicità. Uno sguardo ai due stranieri con la birra in mano ed ecco la tortuosa vita di San Faustino. Il bar vicino a casa con la Gazzetta e il cappuccio come Cristo comanda. E poi il cinema Eden e quell’aria bohemien che copriva le miserie del quartiere. E di una città buia. Dove socializzare pareva un peccato originale. Una pena da scontare in cambio della ricchezza. Delle grosse macchine, dei vestiti firmati, delle gambe lunghissime e delle case a Campiglio. È una città ricca, dicono in molti. Peccato che lui non partecipasse a quel ballo, si era condannato a una stupida povertà. Nonostante tutto diceva di esser felice anche se non era vero. Nemico degli amici che contano, smargiasso e solitario. Condizione acuita dai dolori di un fisico maltrattato e mai curato, in nome di un’immortalità che esisteva solo nelle sue parole: la vera libertà è darsi delle regole per poi rispettarle, amara considerazione per chi era irrimediabilmente schiavo. Le scuole giuste con le persone sbagliate, l’università come un rebus irrisolto e quella città che lo respingeva ogni volta in cui tentava di alzare la testa.
Si era comportato male una volta ma la Leonessa ruggisce solo per i probi e non concede seconde possibilità. O con Dio o contro di noi. Consolazione finale era il baccalà fritto all’osteria il Bianchi, ultimo avamposto che regalava una città scomparsa. Poi, all’improvviso, l’afa del Polesine. I viaggi senza senso in un posto dimenticato da quel Dio che non lo voleva. E le risate, il sesso vero e qualcosa che sembrava amore pur non essendo un calesse. Una palla di pelo nera presa all’aeroporto di Linate e un trasloco organizzato in un battito di ciglia. All’improvviso si sentì leggero. Anche se irrimediabilmente incazzato per tutto il tempo che aveva perso fino a quel momento. Ma quando infilò la porta avversaria all’ultimo secondo dell’ultimo minuto di gioco, capì di essere finalmente al posto giusto nel momento giusto. Smise di guardarsi indietro pensando alle occasioni perse e cominciò a vedere il suo futuro.
Zigo

lunedì 26 dicembre 2011

Disboscamento in Maddalena (- 5)

Per finire in bellezza, non poteva mancare il contributo di Lina Malaspina la quale, non poche male spine infilò nelle chiappe dell'amministrazione bresciota, nella persona della Ciellide Vilarda, rendendo MdC latore di "buchi" grossi come querce ai miseri giornaloidi brescioti. Di seguito, gli aggiornamentti sulla situazione del parco delle colline.  


Aggiornamenti dal cosiddetto: "Parco delle Colline"
Com'è finita?
Un piano perfetto: le capre si son mangiate le nuove piantine,
rifiuti abbandonati lungo i tornanti e recenzioni ovunque,
prorpio un bel piano di recupero...
complimentoni...

di Lina Malaspina

Prima che MdC chiuda (speriamo non definitivamente) vorrei approfittare per un aggiornamento sulla questione Maddalena. Non so se è adatto a celebrare la fine di Mdc con una risata, perchè non fa ridere. Nel “Parco” delle Colline:

Un’altra fetta di bosco, quasi esclusivamente querce, è stata tagliata nei pressi del Buren, lungo il sentiero n.4, forse per allargare l’area da cui i parapendii si lanciano nella densa coltre di smog più a valle.


Il gregge di pecore passato a metà ottobre ha divorato tutte le nuove piantine di castagno, quercia, carpino etc. piantumate (al costo di più di 9 euro cadauna) lo scorso anno a lato della strada della Maddalena (tra il nono e il decimo km). Il giorno dopo il passaggio appariva questo scenario: terra arida e brulla, con gli stecchi che reggevano le nuove piantine e i tubi di plastica che dovevano proteggerle.

Il bosco dietro la Cascina Margherita, tagliato per ben 2 volte (aprile, luglio) dalle motoseghe nei mesi passati, con la promessa di ripristinare (?) una verde radura, è stato trasformato in un arido pendio. Al posto del bosco sono stati tracciati piste e salti per la discesa delle biciclette (downhill). Gare di discesa si sono svolte con il permesso del Comune e del Parco. Era prevista anche una piccola gara per i bambini; discesa veloce su pendio ripido sterrato, salti, buche, intersezioni con sentieri, necessità di indossare casco e protezioni su tutto il corpo... sì, è uno sport adatto anche ai bambini e soprattutto particolarmente indicato in un “parco”.


Un trampolino è presente anche più in alto, lungo il Sentiero circolare della Maddalena (uno dei più adatti alle passeggiate tranquille per il tracciato pianeggiante e i dislivelli minimi): le biciclette scendono a gran velocità e grazie al trampolino saltano il sentiero, volandoci letteralmente sopra, ad altezza d’uomo. (quando succederà qualcosa tutti si accorgeranno della stronzata, ndC)

 Nuove e vecchie recinzioni sono ovunque, ormai alcune zone sono barricate come Fort Knox. Nella foto sotto, un bello scorcio di via del Patrocinio (altezza minima della recinzione 2 metri):

Le discariche a lato della strada della Maddalena si sono arricchite, negli ultimi tempi, di contenitori di materiale tossico e/o infiammabile (quinto km, tornante dopo il San Gottardo).  Alcuni sentieri sono diventati a tratti impraticabili (“Sentierone basso” da ovest) per lo scarico della fogna di alcune ville.

Come segnalato da molti frequentatori della Maddalena, anche sui giornali locali, con l’apertura della caccia il “parco” si trasforma in una sorta di fronte di guerra. Ai cacciatori è permesso di sparare ad ogni ora, in ogni direzione, ad ogni specie, senza curarsi minimamente del passaggio delle persone, alle quali cartelli abusivi posti lungo i sentieri che passano vicino ai capanni “suggeriscono” di cambiare strada se non vogliono essere impallinate. Non viene eseguito nessun controllo. Forse una spiegazione si intuisce leggendo la nuova segnaletica (foto in alto, ndC): da alcuni mesi i nomi dei sentieri sono uniti al logo del Parco e... a quelli della Federazione italiana della caccia!  Buon Anno Nuovo.
Lina Malaspina

domenica 25 dicembre 2011

Piccolo racconto di Natale (- 6)

L'ALBERO DI NATALINO


di Huyhnhnm
Era un ometto insignificante come lo sono tutti gli ometti, i quali altrimenti sarebbero "omoni che incutono rispetto" o addirittura "grandi uomini".
Il padre gli aveva dato il nome del cantante preferito: Natalino Otto. Ma il nostro ometto non avrebbe mai amato lo swing italiano, e in aggiunta con il passare degli anni sviluppò come un seno, e coltivò come un orto un complesso d'inferiorità senza confini nei confronti di chi aveva ricevuto dalla vita il dono di chiamarsi Natale.
Magari senza neppure esser nato - come lui - il 25 dicembre, anche se il padre di Natalino non si chiamava nè Dio nè Giuseppe, e la madre (ma quale Maria, Jole!) l'aveva lasciato a quattro anni con quel genitore sempre sopra le righe per seguire un venditore ambulante di croccanti nelle sagre di paese.
Complesso o non complesso, però, il Natale mancato finì per diventare - suo malgrado riconoscendosi nell'odiato diminutivo - un perfetto Natalino: impiego al Monte dei pegni, camera ammobiliata sui Navigli (non ancora di moda), donne poche e sempre a pagamento.
Poi arrivò quell'inverno, nel quale l'ometto decise di riscattare in un colpo solo una vita di stenti morali e materiali: a Milano il più bell'albero di Natale sarebbe stato il suo.
A trovarlo fu un operaio del Comune, incaricato a metà gennaio di staccare le decorazioni dall'abete di piazza del Duomo. Natalino era riuscito a salire su su, fino in cima. Stecchito dal gelo, stringeva ancora nella mano destra la coda della cometa. E sorrideva.

venerdì 23 dicembre 2011

Settimana della Cagnara: Racconti (- 8)

Cani amici ben trovativi all'inizio della fine. Siamo davvero commossi per la qualità, la quantità e la varietà di materiale che i cani amici di MdC hanno inviato in questi giorni... verrebbe voglia di chiudere ogni mese... Comunque, bagordi permettendo, nei prossimi giorni, provate a dare un'occhiata al blog, da qui al 31. Abbiamo in serbo (croato) sorprese a dir poco stratoskazzidi. Diciamo che finiamo in grande stile, con con-tributi d'affetto che ci hanno davvero commosso. Ci sarà temèppo e modo per scoprire quante leccornie pendono dall'albero di MdC. Per ora godetevi il fikerrimo mini racconto di "Huyhnhnm", (se è questo il suo vero nome...) si intitola...


Just Married 2525
(con versione in inglese solo per Rufus)

di Huyhnhnm

John, la donna diventata uomo, lanciò una sbirciatina con l'occhio sinistro - quello verde - a Mary, l'uomo diventato donna, mentre l'occhio destro - blu marino - teneva sotto controllo l'orologio sistemato strategicamente a fianco del tabernacolo. Mary sorrise, scoprendo il canino di titanio che aveva fatto impazzire la videocamera di John in occasione del loro primo incontro, sul canale #Cambio.di.sesso.
John sentì un brivido scivolargli lungo la schiena, ma non era piacere, bensì un cubetto di ghiaccio sintetico che Double, il piccolo ermafrodita, gli aveva infilato nella scollatura posteriore del lungo abito bianco.
"Se l'acchiappo, glielo taglio", digitò stizzito sul piccolo computer che si era fatto inserire nel palmo della mano destra. Ma subito se ne pentì: Double si manteneva agli studi mostrando il pisello alle compagne, la farfallina ai compagni e tutti e due alla maestra.
"John... John... Jooohn!": il vocione impastato di monsignor Sdilinquo Jr. lo fece sobbalzare. "John, tesoro, vuoi o no portarti a casa questa Mary qui? Stiamo tutti aspettando un cazzo di risposta: io, Mary, i vostri invitati, se si possono ritenere tali, e forse anche Domineddio".
Mary sorrise di nuovo, e la luce sprizzata dal canino di titanio si scontrò con quella, molto più volgare, lanciata da un incisivo d'oro del prete. Il risultato fu una stella cometa che si materializzò all'incirca a metà strada: "Cazzo, Mary, va bene che da uomo facevi il mago, ma dacci un taglio con i tuoi trucchi da varietà del XX secolo", sbottò John tirandole una falda della marsina.
Parole che nessuno udì, John compreso, coperte come erano state dalla tremenda marcia nuziale jungle che il chierichetto-jay aveva fatto partire per errore. "Fingiamo che abbiate detto di sì e adesso levatevi dalle palle, che prima di pranzo devo celebrare ancora sedici o diciassette matrimoni", tagliò corto monsignor Sdilinquo Jr. in un trionfo d'aglio.
"Mary", disse John. "John", disse Mary, e poi nessuno disse più niente, tutti si baciarono e il resto, finchè la milizia cattolica non cominciò a mulinare gli sfollagente a onde cerebrali e in un amen i banchi si svuotarono per riempirsi subito. Davanti a monsignor Sdilinquo jr. si presentarono allora i due canguri parlanti protagonisti di un noto serial pomeridiano, che erano finalmente riusciti a ottenere la dispensa papale per potersi sposare in chiesa.
Nonostante il sarto di lei avesse fatto miracoli, tutti notarono che il marsupio era occupato. Qualcuno disapprovò rumorosamente, altri si diedero di gomito trattenendo le risate come a scuola, infine scese il silenzio.
Monsignor Sdilinquo Jr. bevve un goccio di gin santo da una fiaschetta che teneva sotto la cotta, ruttò e si rivolse ai due canguri: "Forza, carini, che prima di pranzo devo celebrare ancora quindici o sedici matrimoni", esclamò facendo l'occhiolino al chierichetto.

English Version:

John, the woman turned into a man, took a peep at Mary, with the left eye - the green one - Mary the man turned into a woman, while the right eye - the blue marine - held under control the clock strategically arranged beside the tabernacle. Mary smiled, discovering the titanium canine that had driven crazy John's video camera during their first encounter, on the #sex_change chan.
John felt a shiver along his back, but it was not of pleasure, but caused by a small cube of synthetic ice that Double - the young hermaphrodite - had slipped into the posterior cleavage of his white dress.
"If I catch him, I will chop his willy", typed irritated in the small computer that he had fitted in his own right hand-palm, but he repented immediately. Double kept himself to the studies showing his own little willy to the schoolgirls, the little fanny to the schoolboys and the two to the teacher.
"John... John... Jooohn!": the mumbling bass voice of monsignor Schmalzy Jr. made him to jolt. "John, honey, do you or don't you want to take home this Mary here? We are all waiting for a fucking answer: Me, Mary, your guests, or whatever they are, and perhaps also the Lord".
Mary smiled again and the light flashed from her titanium canine knocked with the more vulgar shining from the priest's golden incisor. The result was a comet star that materialised itself half way between the two. "Hell, Mary, we all know that as a man you were a wizard, but stop doing your second-hand tricks, worth of a twentieth century show", burst out John pulling one tail of the coat.
Words that nobody heard, John included, covered as they were by the tremendous wedding march jungle that the altar boy had started by mistake. "Let's pretend that you said yes and go to hell the two of you, before lunch I have still to celebrate sixteen or seventeen weddings", cut shortly monsignor Schmalzy Jr., in a garlic triumphal burp.
"Mary", said John. "John", said Mary, and then nobody said anything more. They all kissed and did the usual, until the catholic vigilantes did not begin to twirl the cerebral waves stick and, in a amen, the benches were emptied and filled up again. In front of monsignor two speaking kangaroos stars of an afternoon soap introduced themselves, since they had finally been able to obtain the papal license for a religious wedding.
Although the tailor of the she kangaroo had made miracles, all noticed that the marsupial was already occupied. Someone disapproved noisily, others nudged each other giggling like schoolgirls. Finally the silence came.
Monsignor Schmalzy Jr. drank a drop of holy gin from a hip flask that he held under the cope, burped again and addressed the two kangaroos: "Come on, dears, I have to celebrate fifteen or sixteen weddings before lunch", exclaimed winking at the altar boy.

mercoledì 21 dicembre 2011

Musicanidi - The Black Keys


I tre dischi di Natale di Maurisio Seimani
(Consigli per regali fastidiosamente saccenti)
El Camino
Per i gnari che a Natale vanno ai parties

a cura di Maurisio Seimani
Quando si ha anche fare col rock and roll c’ è sempre poco da scrivere. Si può perdere tempo a elencare i grandi maestri del passato da cui l’ artista ha attinto per comporre le sue canzoni, si può sottolineare come il soggetto in questione non stia inventando niente di nuovo o ci si può perdere nell’ infinita diatriba sullo scottante tema: il rock è morto, il rock è vivo. Se ne è già discusso. Oppure ci si può limitare a segnalare che è uscito un disco che si poggia su una bella catasta di dinamite pronta a esplodere e che farebbe muovere il culo anche un elefante con l ‘influenza. Puro rock and roll appunto. Pulp rock and roll. E’ la formula che i Black Keys adottano anche nel loro ultimo album “El Camino” buttandoci dentro una verve e una sincerità che in qualche modo ci spiegano come mai i biglietti per l’ unica data italiana di questo gruppo (che dovrebbe essere“di nicchia”) siano andati in realtà a esaurirsi completamente in meno di una settimana. Fortunati tutti quelli che oggi hanno quel biglietto in mano, perché senz’ altro si divertiranno. Per chi non li avesse mai sentiti, l’ invito è quello di divertirsi invece con questo disco.
In una formula: TNT
Giudizio: 3 palle e mezza.


Per i palati fini:
Kate Bush - 50 words for snow
La delicatezza di un disco come “50 words for snow” è quel particolare tipo di delicatezza che ipnotizza e lascia semplicemente senza fiato. Perché cercare parole nella neve significa anzitutto riuscire a fare parlare il silenzio. Ed è forse per questo che (anche se è di musica che si sta parlando) ciò che Kate Bush porta a sublimare nella sua ultima opera è anzitutto un meraviglioso silenzio. Un silenzio bianco, bianco e nero, come i tasti di un pianoforte che, danzando sulle punte, passa al setaccio meticolosamente ogni singola nota che produce, bianco come una voce ammaliante e incredibile, che accarezza i nostri padiglioni auricolari a ogni sussulto. Bianco, come l’ incanto. Come 50 parole diverse per definire la neve.Volendosi concedere una battuta si potrebbe dire che questo è “il disco di Natale” di Kate Bush. Ma, almeno per una volta, la battuta serve solo per arrivare a dire che se i dischi di Natale fossero tutti così, al mondo della musica servirebbe un Natale ogni mese.
In una parola: incanto.
Giudizio: 4 palle.

Per i vostri bambini:
Brian Wilson – In the key of Disney

Brian Wilson è vivo e lotta insieme a noi. Di più. Brian Wilson è uno di quelli che è impazzito per noi. Di più, Brian Wilson è tornato, con gli occhi felici di un bambino, a creare per noi, e questa è la cosa che ci rende ancora più felici. Non possiamo sapere cosa abbia attraversato la mente vulcanica e schizofrenica dell’ ex leader dei Beach Boys in tutti questi anni. Senz’altro non solo good vibrations immaginiamo. Ma che gioia ritrovarcelo ora, in questo disco, intento a divertirsi e divertirci reinterpretando a modo suo (e cioè geniale, perché Brian Wilson è indiscutibilmente uno dei geni più sfolgoranti che il mondo della musica abbia conosciuto) alcuni grandi classici, estratti da diversi celeberrimi cartoon della Walt Disney. Il progetto potrebbe forse fare sorridere, ma il tutto suona tanto fresco, brillante ed equilibrato che al sorriso non può che unirsi l’emozione. Non importa dove Wilson decida di andare a pescare. Come il nostro riesce ad essere semplicemente trascinante quando si diletta in una istrionica “Heigh-Oh! Whistle while you work” (da Biancaneve e i sette nani) o spettacolarmente onirico quando sussurra una “Stay Awake” (da Mary Poppins), non è comunque meno convincente quando si confronta con pezzi più recenti come “We belong together” (Toys Story) o “The color of the wind” (Pocahontas). Quando il genio è genio, non importa cosa canti, basta che torni a cantare. Che queste “nuove vibration” ce lo tengano ancora a lungo stretto a noi.
In una parola: cartoni
Giudizio: 3 palle.
Che aggiungere dunque… Un ultimo saluto a tutti i Musicanidi. Chissà che questa rubrica non la si tenga viva comunque da qualche altra parte. Intanto buone feste,

Maurisio Seimani

(la redazione di MdC sottolinea una volta di più che, come nella migliore tradizione del punk, tutti gli insulti indirizzati in questi mesi a Maurisio Seimani sono da intendersi sempre profondamente veri e sentiti).

mercoledì 14 dicembre 2011

La Posta del Cane - Arringa Affumicata

L'inizio della fine
(anteprima)
Tana libera tutti...
(Buon Natale Franco... rifletti un po' anche tu va...)

di Lady Badanna Kepansa
(nella foto, mentre giudica la vostra condotta)
Cani amici ben trovati (dobbiamo tornare ad usare il singolare?).
Sarete rimasti almeno in 27? 
Comunque vada, bau arf... sniff snifff.. auuuu... grrr... arf... 
Ogni tanto ci capita di incontrare e annusare il deretano di qualche lettore affezionato* che chiede lumi circa la recente e reiterata latitanza canina. 
Si notava l'assenza?
E l'assenzio?
Così, ci si chiedeva l'altro giorno in stato di trans metafisica da metanolo, insieme a Jebediah Wilson, Masaniello  Malaffare, Fiorenzo Maria Bernoccoli e Bartolomeo Zuppa (sciagurato pusillanime di passaggio che ha deciso di unirsi all'allegra combricola, in trans da metanolo, così, per ischerzo).
Eravamo tutti lì, ad arrovellarcelo l'un con l'altro e, alla fine, invece di andare a suonare le pentole sotto casa di Rufus alle tre del mattino, s'è deciso tutti insieme di buttar giù due righe per spiegarcivi meglio. Non potevasi trovare condicio più favorevole della Posta del Cane, la rubrica di autocritica preconfezionata più simpatica del pianerottolo. Per introdurre l'argomento, riportiamo di seguito alcuni dei commenti Anonimopiù recenti postati su questo bel blogghettino (alcune sono citazioni... i commentatori hanno preferito mettere il nome dell'autore invece del proprio... ovviamente...).
Bayazid al-Bistami ha detto: "La conoscenza di Dio (o l'illuminazione) non può essere raggiunta cercandola; tuttavia solo coloro che incominciano a cercarla la possono trovare (13/12/11 15:19)"

Don Juan: Non si diventa guerrieri solo perché non si ha più una grande opinione di sè. Ma il primo passo per diventare guerrieri consiste nel perdere la propria importanza personale. (13/12/11 15:26)

AnonimoVladimir Jankelevitch ha detto: "E' possibile vivere senza la filosofia, senza l'amore, senza l'arte, senza l'armonia; ma mica tanto bene. (13/12/11 15:50)"

AnonimoAho ha detto: "ma che ve siete tutti rincojoniti...ma che muro de cani mo è un covo de frocioni! AHO SVEJJA!!!!" (14/12/11 07:00)

PER "Aho" LA RISPOSTA E' QUI
Cambiare vuol dire cambiarsi
 (almeno due o tre volte alla settimana)

Risponde MdC: Siete troppo profondi per le nostre connessioni neuronali. Se dobbiamo dirla tutta, noi altri ci siamo un po' rotti il cazzo... Lo Stato in cui siamo messi (nella duplice accezione di Paese/Nazione e condizione umana), in questo momento non ci permette di avere del tutto chiara la visione d'insieme, la strada da seguire. Che fare? prima di muoversi, meglio capire dove andare. Per rinfrancar lo spirito tra un dilemma e l'altro - ultimamente - ci è capitato di dare un'occhiatina (di sfuggita) al vocabolario e di riflettere sul signficato di due paroline da poco: dovere e diritto.
  
DOVERE  (Dizionario Sabatini Coletti) - "Legge morale, non necessariamente scritta ma comunque riconosciuta dalla coscienza, che impone di osservare gli impegni che ognuno contrae con gli altri per il fatto stesso di vivere in società" **
DIRITTO (ibidem)- "(1) Insieme di principi codificati allo scopo di fornire ai membri di una comunità regole oggettive di comportamento su cui fondare una ordinata convivenza (2) Disciplina che ha per oggetto di studio i principi, le norme costitutive del diritto. (3) Ciò che ogni cittadino può giustamente rivendicare di fronte alla comunità: d. umani, civili, politici".

(nelle foto, dall'alto, doveri e diritti dei cani) 
 

"QUELLO CHE DEVO FARE" - Riflessioni (così... tanto per...). Il dovere non è unicamente "una rottura di palle", ma è anche (e soprattutto?) una "legge di coscienza". Il concetto di diritto invece non riguarda solo ed esclusivamente ciò che ci è "dovuto", ma comporta anche la comprensione di "regole oggettive di comportamento su cui fondare una ordinata convivenza". Leggi anche: "non puoi andartene in giro a sparare come un pazzo, fottuto neo fascista del cazzo codardo suicida, merdoso cultore della "morte di sti coioni", miserabile pezzo di sterco, rigurgito più vomitevole della Storia, tu e quelli che - in fondo in fondo - ti comprendono e/o ti giustificano".  Il concetto di "diritto" è strettamente connesso a quello di "Giustizia" (ibidem, "Principio morale, virtù, consistente nel dare a ciascuno il dovuto, nel giudicare con equità").
Per certi versi, le definizioni sopra riportate ribaltano il concetto di "diritto" (ciò che ci "spetta") e "dovere" (ciò che ci "scazza"). E allora, vista l'assenza di risposte, poniamo una domanda: se il "dovere" è legge di coscienza, quale mastodontico putridume nascondiamo dentro (ognuno a modo suo)? A che compromessi siamo disposti a scendere - prima di tutto con noi stessi - per eludere ciò che "scazza" e raccattare a piene mani più "ciòchecispetta" possibile (spesso è più di quanto ci spetterebbe). Qui entrano in gioco le viscere. Centro unidecisionale, unidimensionale, unidirezionale, che ispira ogni azione di MdC e di buona parte dell'umanità. Difficile mollare le viscere. Sono comode anche se piene di merda...
Eravamo tutti lì, a pensare come mollare le viscere, in trans metafisica  da metanolo quindi, per metà viscere. Non ne siamo ancora venuti a capo. Però siamo riusciti a trovare altre domande. E via così... che ha anche un suo fascino... se proprio vogliamo...
  
SCUSATE IL FRANCESISMO - Quel "comunista" di Montesquieu (nella fotina, con la faccia smorfiosa da puzzone francese) auspicava uno Stato in cui "i buoni principi e non le buone leggi" temprassero/formassero/indirizzassero le coscienze dei cittadini. 

Quel Paese ovviamente non è l'Italia. E quei "cittadini" non siamo certo noi. Siamo lo specchio di chi decide per noi. Demandiamo ai "veci" del bar le sorti del nostro Stato.
Domanda:  ma in che Stato siamo? Siamo infatti noi a voler così, a dettare la linea di indirizzo. Diritto/dovere: scegliere i rappresentanti "a nostra immagine e somiglianza". E allora, siamo tutti Scilipony. (Scrivente compreso e - a modo suo - primeggiante nel campo della merda). Giunti a questo punto, facciamo davvero fatica ad immaginare il livello di lerciume che incrosta le coscienze degli elettori di Nicoli Cristiani (a proposito... Buon Natale, obeso fascista trafficante di rifiuti).

E allora, ci siamo chiesti: quali "princìpi" muovono la nostra coscienza (individuale e collettiva) al momento della scelta? Siamo ancora così putridi e miopi da pensare di arricchirci alle spalle degli altri, in barba alle regole (= diritti)? E' così forte il Nicoli Cristiani che c'è in noi da pensare che il tornaconto personale (di casta/lobby/corporazione), possa prosperare per sempre a scapito del bene collettivo?
La risposta è dentro di noi, ma purtroppo - direbbe Corrado Guzzanti - "è sbajata".
E allora, avanti così... Confondiamo l'amicizia con lo scambio di favori, quello che facciamo con quello che siamo. E quando si apre il baratro sotto i nostri piedi, preferiamo un appiglio scricchiolante ad un libero salto nel vuoto. Non siamo disposti a rinunciare, vogliamo tutto e crediamo di meritare di più. Anche se poi, alla fine, "tutto" passa.    
SPECCHIO RIFLESSO - Tutto scorre (anche "Muro Cani e Nicoli Cristiani" ... endecasillabo!...). Sarebbe preferibile partire da noi stessi, se è vero che cambiare vuol dire "cambiarsi" (ognuno a modo suo, visto che nel mondo non esiste un uomo/donna uguale all'altro/a).
L'utopia della serena convivenza, dell'equilibrio tra diritti e doveri, della Giustizia e dei buoni principi dei cittadini, non sembra male.  Probabilmente non la raggiungeremo mai, ma almeno sappiamo quale direzione prendere. Il cambiamento, in tutte le sue possibili accezioni (dalle lenzuola puzzolenti all'espianto dei genitali), non avviene MAI da solo, ma soprattutto va applicato a noi stessi. Comodo è predicare bene e razzolare male. E lì tornano in scena le viscere (nella foto, al Centro, come Casini...). Non se la sentono mai di cambiare, perchè nella merda c'è un bel caldino e, se riesci a farci l'abitudine, smetti di dare troppo peso all'odore e trovi pure qualche vantaggio (l'essere umano si adatta a tutto): il bello di vivere nella merda? Avere il salvagente. Si sta a galla anche se poi, intorno e sotto, c'è solo merda. Che fare dunque?  Continuare a galleggiare?

BAH ...ALA'... LASA STA' - Alla fine: ognuno di noi è quello che VUOLE essere.  Sempre Montesquieu: "Siccome tutte le cose umane hanno una fine, lo Stato di cui parliamo perderà la sua libertà, perirà. [...] Perirà quando il potere legislativo sarà più corrotto di quello esecutivo"***. 
Siamo messi bene no? Ecco perchè ultimamente abbiamo un po' mollato le posizioni. Si pensava un po' a cosa fare, a dove andare a finire, quelle robètte lì. Col beneficio del dubbio sempre a portata di mano. Altrimenti se non riusciamo nemmeno a cambiare noi stessi, cosa pretendiamo di cambiare? Diversi nostri aspetti (come individui e come società) devono essere messi in seria discussione. Pare il tempo di rivolgimenti radicali. A cominciare da noi. Se il dovere è coscienza, ognuno ascolti la propria e saprà ciò che deve fare.



L'INIZIO E' LA MIA FINE - Noi abbiamo scelto: il 31 dicembre alle ore 00.00, quando tutti sarete a cazzeggiare e gozzovigliare per la fine dell'anno, MdC pubblicherà il suo ultimo post: The End.
Al punto in cui siamo, MdC non è un diritto nè un dovere (o almeno non è più sentito così da chi vi scrive...). E' sempre stato un piacere, spesso sulluccheroso, visti e considerati i lettori prestigiosi che hanno posato gli occhi su queste pagine per sentirsi dire in faccia quanto sono stronzi... nèh Rufus? Nèh Adriano? Ma ora non è più così. MdC finisce, ma sia chiaro: nulla verrà cancellato, il blog resterà dov'è, lasciando - fino a quando ne avranno voglia - spazio ai commenti di tutti i Cani, amici, nemici e pure a quelli di Mr Zerbina e Geppe Frottola. E' ora di cambiare, di fare altro. Ogni fine è l'inizio di qualcosa, per ora non abbiamo la minima idea di nulla, ma state certi, vi faremo sapere.  Quindi don't worry. Sarà una finale allegro, con le ballerine, il bunga bunga, magari ci beviamo anche un aperitivo insieme e poi andiamo davvero a suonare le pentole sotto casa di Rufus alle tre di notte. Un ultimo atto lungo e articolato (un po' come gli addii al Rsk). Inizieremo il 23 dicembre con una settimana scoppiettante di ricordi e contributi (preallertiamo Maurisio Seimani, Loredano Scellerata Pazzeschi e Cane Poeta Alfieri, Rsk, Oloferne Disgusto, Pier Paolo Scoeggia e chiunque volesse lasciare un messaggio: murodicani@gmail.com). Magari, se riusciamo, chiamiamo anche il maestro Antonio Merendoni. Quindi: niente muso, parafrasando il cowboy: "E' così che la grande carovana prosegue il suo cammino". Senza Muro Cani e Nicoli Cristiani. Buon Anno Nuovo Franco... 



Badanna Kepansa

*(grazie fess... sorry fess... grazie fess... sorry fess)...
** Concezione nord europea di "Dovere". Sullo Zanichelli 2005, pag 592, più "italianescamente" si legge: "(1) Avere l'obbligo di fare una cosa - (2) Essere tenuto a comportarsi in un certo modo per ragioni di convenienza e di opportunità, (3) Ciò che si è tenuti a fare secondo la legge, la morale, le convenzioni. (4) Sentirsi obbligati ad agire". Tanto per tornare sul discorso della "rottura di balle"...
***(libro XI de Lo spirito delle leggi, Montesquieu), Trovato su Wikypedia.