Cani amici, si vede che è proprio la fine. Pure Piero Piccioni mandossi un contributo (e che contributo) alla causa canina. Commossi consigliamo la lettura del seguente racconto.
Ultima puntata e ritorno in glande stile
Non se ne esce mai facilmente
di Piero Piccioni
La cosa
assurda é che fanno treni ad alta velocità che sono sempre in
ritardo. Facessero treni a velocità normale che arrivano in orario,
si andrebbe via in pari, senza spreco di risorse e pubblicità.
Comunque,
il punto é che stavo tornando in Italia per le feste natalizie e per
i funerali di Muro di Cani. Le eutanasie canine sono le sole a sollevare proteste ultimamente.
Diverse
persone hanno lavorato a questo ibrido della controinformazione
satirica, con dedizione e spirito di sacrificio. Ad eccezione del
sottoscritto.
“Piccioni,
sei in passivo di 400 articoli, se qualcosa di umano sopravvive in
te, bisogna che almeno un coccodrillino lo scrivi, dioboia”.
Fratello Scemus, aka Jebediah Wilson, sa giocare in modo sporco con i
sensi di colpa altrui. E
allora cosa dire? Come individuo sono al disarmo, e infatti mi
venivano in mente solo boutades da quattro soldi, peraltro poco
adatte a celebrare lo slancio cadaverico di una creatura che si
dirigeva nella fossa con tanto zelo, per decisione del suo stesso
creatore.
Muro di
Cani era più ubiquo di un acaro della polvere e più cretino del
nuovo prototipo Boeing di aereo trasparente. Più glamour di Pippa
Middleton e più atonale di un assolo di John Coltrane. Più trash di
Daniela Santanché e più pungente di un cappuccio del KKK (Muro di
Coni). Più controverso di una pornostar in coma assistito da 35
anni. Più distopico della Bassa padana. Più irresponsabile di
Franti. Più irriverente del dottor Frankfurter. Più inutile del
biondo degli 883. Più disordinato di Paperoga. Più acuto della
Callas. Più pornografico di uno snuff con Maria De Filippi. Più
bipolare di Vittorio Sgarbi. Più morale di un film di Pasolini. Più
mistificato della faccia su Marte. Più bistrattato di Renato
Brunetta alle medie. Più intransigente di un sociologo
strutturalista. Più ricercato di una tigre bianca del Bengala. Più
raro di una fotografia di Matteo Messina Denaro. Più telegenico di
Bin Laden. Più essenziale di un haiku giapponese. Più eccessivo di
Vanna Marchi. Più arrancante di Dorando Pietri. Più sorprendente di
una scatola di vedove nere che ti arriva a casa per raccomandata. Più
disastrato dei conti pubblici. Più fedele del tuo cane. Eccetera
eccetera.
Roba
così.
Poi
però alzai gli occhi e osservai le due persone sedute davanti a me,
una big mama africana con la figlia di sette/otto anni. Non le avevo
notate prima, se non per il fatto che la bambina non la smetteva di
frignare e dimenarsi. Tuttavia – me ne accorgevo solo ora- quelli
che inizialmente avevo scambiato per capricci, erano in realtà
manifestazioni di una bimba affetta da una visibile forma di handicap
mentale.
Stravaccata
scompostamente accanto alla madre, la piccola aveva occhi vivaci e un
inestinguibile rivolo di bava che le colava a flusso continuo da un
angolo della bocca. La mamma asciugava e quello, subito, si rifaceva.
Il mio primo pensiero fu che le sue ghiandole salivari dovevano
essere eccezionalmente sviluppate. Anche il rantolo che udivo in
sottofondo da quando il treno aveva lasciato la stazione, e che avevo
attribuito al russare sinusoideo di un viaggiatore addormentato, era
in realtà il respiro affannoso della bambina. Ciò suscitò in me
molta compassione, sicché cominciai a sorriderle, dapprima
distrattamente, poi cercando apertamente di attirare la sua
attenzione.
Le feci
il gioco del “Cip! Bau!”. “Ciiip...”, e mi coprivo la
faccia...“Bauuuu”, e mi scoprivo la faccia. Piero c’é, Piero
non c’é. Quella non si fece pregare e attaccò a urlacchiare e
battere le mani.
I
decibel nel vagone aumentavano, alcune teste calde già facevano
capolino dagli altri sedili, interrogandosi sulla fonte di quel
baccano molesto; così decisi di darci un taglio, perché la bambina
si calmasse.
Ma lei,
per protesta, cominciò a gridare più forte. Lievemente a disagio
per la situazione che avevo creato, presi a sorriderle bonariamente,
bisbigliandole al contempo “Sssst, Sssst” e cercando con occhi
supplichevoli un aiuto da parte della madre. La quale però,
impegnata a sua volta in una conversazione telefonica piuttosto
accesa, ricambiò con uno sguardo che diceva: “Tu ti sei messo in
questo casino e tu ne esci”, o almeno così mi sembrò.
Disperato,
afferrai il primo oggetto che mi capitò sottomano, un flaconcino
omaggio contenente un liquido viscoso e ambrato, e presi ad agitarlo
come diversivo davanti allo sguardo beota dell’infante. Lasciandomi
secco per la sorpresa, la piccina lo ghermì, sputacchiando
dappertutto per la felicità, e lo spaccò contro la finestra del
vagone. Una nuvola di essenza assoluta di vaniglia si diffuse
all’istante nella carrozza, provocando l’aperto risentimento
degli altri viaggiatori.
Il
fallout aromatico lasciò senza parole alcuni, mentre altri si
alzavano per venire a comunicarci i sensi del loro disappunto.
Al che,
la madre della bimba si attivò per ripulire la figlia, inzaccherata
di liquido untuoso, piccole schegge di plastica dura e l’immancabile
profluvio di bava. Le occhiate di rimprovero di coloro che non
avevano assistito per intero alla scena convergevano automaticamente
su di lei, rea di una tale irresponsabile mancanza di attenzione nei
riguardi della bambina, soprattutto data la criticità delle sue
condizioni.
Cercai
di approfittare dell’equivoco per defilarmi. In fondo al corridoio
vedevo la luce verde che indicava che il cesso della carrozza era
libero. La salvezza era a portata di mano.
Sennonché,
non feci in tempo a lasciare il mio sedile che una vecchia signora,
seduta due posti più in là, mi afferrò per l’avambraccio: “Ho
visto tutto. Lei é proprio uno stronzo”. Il suo artiglio adunco
era come una tenaglia, la forza della sua presa era soprendente. Sono
sempre questi piccoli dettagli ad attirare la mia attenzione,
distraendomi dai casini in cui mi ficco. Fatto sta che rimasi senza
parole.
Quella
continuò: “Sono capaci tutti ad infilarsi in una conversazione, ma
uscirne é un’altra faccenda. E’ troppo comoda darsela a gambe
quando non si sa più cosa dire. Concediamo la nostra attenzione a
qualcuno che sembra averne bisogno, e questo ci fa sentire bene. Ma
in realtà non stiamo ascoltando, stiamo solo coccolando il nostro
ego. Quando finalmente scopriamo che gli altri non sono come vogliamo
che siano, allora ce la diamo a gambe, vero? Come molti individui
della sua età, lei é un giovanotto compiaciuto, meno altruista e
certo meno intelligente di quel che crede”.
Pensai
che parlava parecchio, per una che aveva in bocca sì e no otto
denti, ma sospettavo che avesse ragione.
E le
sue critiche, tra l’altro, suonavano sinistramente calzanti con la
situazione che dovevo affrontare. Mi liberai con uno strattone da
quella morsa diabolica e corsi a rifugiarmi nel gabinetto. L’odore
pungente di urina e feci ebbe l’effetto di un sale medicinale, in
mezzo a quel surreale incubo vanigliato.
Seduto
su una tazza lurida di DNA altrui, pensai che forse la vecchia
signora aveva ragione e che Muro di Cani era come quella creatura
menomata, destinata ad essere accudita dall’inizio alla fine
unicamente dalle persone che l’avevano messa al mondo, mentre tutti
gli altri le tributavano solo sporadiche attenzioni, per poi girare
la testa dall’altra parte. Improvvisamente mi sentii malissimo per
avere avviato una relazione che non avevo saputo portare avanti,
facendo la mia parte per lasciare Muro di Cani a crepare in un fiotto
di bava e vaniglia.
Invece
magari era il mondo ad essere crudele e distratto come i passeggeri
di quel treno, pronti ad additare le debolezze altrui giudicando da
una poltrona riscaldata coloro che sedevano su un trono di merda.
Oppure,
forse, Muro di Cani era proprio come la vecchia saggia e scorbutica,
isolato nella posizione scomoda di chi é masochisticamente alla
ricerca di uno scampolo di verità, difendendo un ideale di onestà
conquistato a fatica dalla volontà rapace di un universo
handicappato e sbavante. Infilai
la testa sotto l’acqua gelida e impotabile del lavabo. Ora
desideravo solo di avere un posto da chiamare casa, un luogo caldo e
accogliente dove una grossa mamma antica dalla pelle marrone mi
avrebbe accolto sempre, senza condizioni. Le avrei probabilmente
sbavato addosso e lei avrebbe risposto al mio sguardo ebete
accarezzandomi la testa. Un buon odore di biscotti alla vaniglia si
sarebbe diffuso dalla cucina e nessuno mi avrebbe mai sgridato o
ferito o abbandonato. Nessuno si sarebbe fatto male e nessuno sarebbe
scomparso.
Poi
quella mamma mi avrebbe fatto addormentare nel suo grembo,
dondolandomi piano, come il suono di un vagone in lontananza.
7 commenti:
inchini,appalausi e glande stima per piero piccioni uno di MDC
grazie a presto
...fidatevi, sarebbe stato molto peggio se si fosse trattato di quelle fialette puzzolenti che girano a carnevale..
un degno epitaffio
Non posso scrivere niente perchè non l'ho letto.
Però sto scrivendo perchè è sempre un post di piccioni.
clepens! clepens!...il sapore della fine certa è come l'amaro di un veleno mortale, che ti da il tempo di rimpiangere, rifiutare, lottare contro il suo effetto nefasto...we want another brick in the wall!
queste sono le vie del signore
queste sono le vere vie del signore.
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